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Il canto: esiste in problema di repertorio?
di Jacques Vivant
Per riflettere
Per riflettere, Teoria

Spesso mi capita, durante delle discussioni, di affrontare le questioni relative al canto con i bambini e i ragazzi, relative alle difficoltà che si possono incontrare, agli aspetti psicologici o tecnici che favoriscono e stimolano la pratica di quest’attività. E sempre, qualsiasi siano i luoghi, gli interlocutori, le circostanze, e anche quando il soggetto di conversazione iniziale non comporta quest’aspetto particolare, non mi capita mai che la questione del repertorio non appaia in modo prorompente, rischiando addirittura di occultare tutte le altre questioni.

 

Importanza della domanda


Evidentemente la questione è importante. Non si tratta né di eluderla, né di collocarla all’apice delle nostre preoccupazioni. Cerchiamo di definirla innanzitutto in termini chiari, per poterla poi in seguito affrontare in modo adeguato.

 

Ho avuto spesso l’impressione che parecchie persone si aspettano da noi, durante gli scambi o durante gli stages, quelle indicazioni che gli permetteranno di evitare le esitazioni, i dubbi ed i fallimenti. Ci dia la canzone variegata, quel genere infallibile, di cui il successo è garantito. Come rispondere a una simile richiesta che, se è non è espressa direttamente (a volte invece lo è), appare in modi diversi tra le righe delle discussioni ! Non essendo naturalmente possibile dare una risposta, si tratta di porre di nuovo in modo adeguato il problema affinché questo ci porti ad una conoscenza delle situazioni, a un’analisi della nostra stessa relazione con la canzone in generale e ogni canzone in particolare, a un lavoro metodico d’investigazione di una canzone, a uno studio tecnico delle possibilità reali di coloro ai quali ci rivolgiamo e dei mezzi di cui disponiamo noi stessi.

 

Un falso problema


Queste riflessioni mi portano a ipotizzare che non esiste un problema specifico del repertorio, se lo affrontiamo sotto questa forma elementare, ma che questo sia diffuso in tutte le nostre preoccupazioni pedagogiche. Evidentemente non nego la difficoltà, alla quale sono peraltro continuamente confrontato, di ricercare delle nuove canzoni interessanti e ben fatte, non per scoprire la canzone miracolo che avrà di sicuro successo (o che mi assicurerà successo ? o che assicurerà il mio successo ?…), non solo per rinnovare il mio repertorio, ma piuttosto con l’obbiettivo di accrescere quella ricchezza all’interno della quale mi sarà più facile scegliere in modo opportuno.

 

La novità


Poiché, in effetti, spesso, la novità è il solo criterio di scelta ; posso azzardarmi a dire : l’unico criterio di scelta ? Non siamo in effetti inclini ad abbandonare, a non più proporre una canzone che presenti le qualità che stiamo cercando e che ce l’hanno fatta apprezzare e utilizzare precedentemente, sulla base della sola obiezione che essa data di due, cinque o dieci anni ? Se una canzone è vecchia per noi, lo è anche per coloro ai quali la proponiamo ? Qui si disegna già la necessità dell’oggettività della nostra risposta. Certo alcune canzoni sono potute invecchiare, e anche invecchiare male; e il loro soggetto o la loro forma danno l’impressione di essere vetusti: lasciamole stare allora. Altre hanno senza dubbio mantenuto il loro charme, la loro originalità, la loro forza o la loro attualità: perché allora privarsene, e privarne gli altri? Non mi spingo fino al punto di proporre la moda retro per rilanciare delle canzoni del nostro repertorio passato, ma se esse hanno avuto e hanno conservato un autentico valore (al di là dell’aureola positivizzante dei ricordi), devono senza dubbio fare ancora parte del nostro repertorio attuale.

 

Ma che le righe precedenti non vi inducano a credere che le canzoni recenti siano senza interesse! Ricerchiamole piuttosto, ma con gli stessi criteri che usiamo per le altre, con il medesimo rigore nella nostra scelta, e con la stessa indulgenza per quelle imperfezioni minori.

 

Gli altri e io


Non posso scrivere che alcune cose sulla conoscenza delle situazioni nelle quali ci troviamo al momento in cui portiamo un repertorio a un gruppo di bambini o ragazzi. Sarebbe spalancare una porta già ben aperta il voler insistere sull’importanza delle relazioni che esistono tra i bambini e noi e più generalmente tra i bambini e gli adulti, e in particolare tra ogni bambino e ogni adulto. L’enumerazione e il dettaglio delle circostanze, delle condizioni, delle persone, dei luoghi di attività, delle scelte, delle influenze, dei gusti, dei bisogni, della vita personale, ecc. che sono alla base stessa della qualità di tali relazioni sono già state studiate abbastanza soventemente per non doverle sviluppare qui. Le ricordo semplicemente per affermare che, nell’ambito del canto come anche in altri ambiti, questi aspetti relazionali, che tra l’altro cambiano, hanno un’influenza molto maggiore sull’adesione al repertorio che la scelta stessa di tale repertorio. Ciò non significa comunque che questa scelta non deve essere ponderata con cura e discernimento. Ma il tutto sarà tanto più sereno quanto meno saremo preoccupati dalla ricerca problematica della canzone vincente (vincente nel senso aleatorio del gioco delle carte).

 

La canzone e io


L’idea che è difficile far apprezzare ad altri ciò che a noi non piace è comunemente diffusa e ammessa. Ma amare una canzone non è sufficiente però per farla apprezzare agli altri. E posso portare gli altri a stimare una canzone che non amo? Su quest’ultimo punto dobbiamo soffermarci, per comprendere bene cosa intendiamo con amare una canzone. Gli apprezzamenti spontanei, in quest’ambito, sono soggettivi. Se non si tratta che di me, se i miei rapporti con al canzone non riguardano che me, il semplice "mi piace" o "non mi piace" può essere e non devo giustificare a nessuno, se non a me, il perché o il cosa mi lega alla canzone o me ne allontana. Spesso e volentieri non me ne preoccupo neppure

 

La canzone, gli altri e io


Ma dal momento in cui si tratta di usare una canzone con un gruppo, non posso più accontentarmi di quest’impressione che molto probabilmente è superficiale o dipende da degli elementi esterni alla canzone stessa. Tutti i dati soggettivi (culturali, affettivi, abituali, …) devono essere rimessi in questione e dovrò esaminarli per confrontarli con la realtà dell’opera. Il mio amore per la canzone (o il mio rifiuto) non è dovuto alle circostanze in cui ne sono venuto a conoscenza, alla persona che me l’ha trasmessa, al mio interesse per il tema trattato, al suo genere, all’autore, al suo interprete o al suo accompagnamento? Non sono attirato da canzoni di uno stile particolare? Non ho la tendenza a chiudermi di fronte a canzoni di altro stile? Tutte domande alle quali non è sempre facile rispondere. Tutte risposte che richiedono un’analisi più oggettiva della canzone, di questa canzone, per quello che è. Non si tratta di apprezzare una marca, un autore o un ricordo: si tratta piuttosto di apprezzare un’opera. Mi propongo, in un successivo capitolo, di delineare un tracciato di ricerca che possa portare un aiuto a tale analisi.

 

Quest’analisi, per quanto grande sia la volontà di oggettività che la conduce, non può evidentemente determinare in modo categorico la qualità e il modo d’uso della canzone. Ma essa può, e non è poco, portare ognuno o alla conferma di una prima impressione oppure alla modifica di questa prima impressione. A questa canzone, che a me piace, riconosco un valore quasi nullo: e uso di proposito l’espressione "che mi piace" e non "che mi piaceva", poiché è ben possibile che il riconoscere la mediocrità dell’opera non alteri le mie relazioni affettive con questa e che me la fanno apprezzare, almeno in un certo momento. Però a questo punto mi pongo diversamente la questione del suo utilizzo: se dovessi usarla, non porterei agli altri nient’altro che la canzone e la sua mediocrità, ma non potrei trasmettere loro i legami segreti che mi vincolano ad essa. E può darsi pure che in quest’altra canzone, che non mi piace, io scopra delle qualità, delle idee, uno charme che mi erano restati segreti, nascosti da altri elementi affettivi o da un’insufficiente conoscenza. E senza dubbio potrebbe diventare una mia alleata portandola agli altri, poiché la chiara conoscenza di ciò che ne fa il suo interesse resterà il miglior garante di un’accoglienza favorevole da parte degli altri. Uno sforzo simile d’oggettività non condurrà all’unanimità di opinione. I pareri resteranno sfumati, ed è logico (e desiderabile) che la personalità di ognuno si manifesti ancora attraverso i gusti e le scelte diversificate. Ma ognuno sarà più pronto ad assicurare la propria scelta in cognizione di causa.

 

Qualsiasi educatore, sufficientemente a conoscenza degli interessi dei bambini, dei loro bisogni, della loro sensibilità e attento alle situazioni nelle quali lavora, deve poter determinare a chi può proporre la canzone. La conoscenza approfondita della canzone e la coscienza precisa del valore della canzone stessa, messi in luce dal nostro studio, hanno come conseguenza di affinare il giudizio e di facilitare tale decisione. Malgrado ciò, parecchi errori vengono ancora commessi in quest’ambito, dovuti essenzialmente ad un’attenzione troppo superficiale dedicata alla canzone

 

Le difficoltà di chi canta


Ma è più che altro in un altro ambito che si può costatare più sovente ancora la cattiva scelta del repertorio da proporre a un gruppo. Si tratta della valutazione delle possibilità reali dei cantanti.

 

Per esaminare le difficoltà incontrate, dobbiamo differenziare due casi : quello degli ostacoli provenienti dalla mancanza di allenamento, dalle abitudini vocali, … e quello dove le possibilità sono legate all’età.

 

Nel primo caso saremo guidati dall’apprezzamento di ciò che il gruppo è in grado di superare senza che i nostri consigli o le nostre esigenze per aiutarlo a migliorare si trasformino in degli sforzi scoraggianti che sfocino per finire nel rifiuto. In questo modo lo stonato, colui che non riesce ad azzeccare la nota di partenza, …, si fonderanno rapidamente all’interno del gruppo. Così giovani adolescenti dalla voce roca, che si trovano nell’impossibilità di usare le note acute della loro voce, ne ritrovano l’impiego nella misura in cui le prime canzoni che proponiamo loro non comportino delle note acute difficilmente raggiungibili se non in un contesto melodico che le renda loro accessibili. Questi aspetti, troppo spesso negletti, rivestono un ruolo importante e non sospettato nell’accoglienza o nel rifiuto della canzone. Ma non dimentichiamo che comunque l’adesione entusiasta ad una canzone può suscitare una volontà di sforzi che, al di là delle nostre esperienze, portano a superare tutte queste difficoltà!

 

Nel secondo caso ci guiderà la conoscenza delle tappe dello sviluppo dei bambini sul piano vocale, aiutata dall’osservazione. E’ facile costatare, ad esempio, che i bambini piccoli non possiedono quella volubilità che permette loro di cantare delle canzoni a ritmo veloce : la canzone viene allora rallentata in modo esagerato e perde dunque ciò che la rende interessante. Sappiamo pure che la tessitura vocale di questi piccoli è molto ridotta ; vi sono quindi dei rischi per le loro voci a proporre loro delle canzoni con una grande estensione. Malgrado l’ammirazione, ragionata o incondizionata, che gli adulti possono avere per Anne Sylvestre, come possono immaginare che le sue canzoni per bambini possano essere cantate da questi quando presentano dei salti di ben 12 toni? e inoltre non possiamo far cantare a dei bambini di 10 anni delle canzoni che presentano delle frasi lunghe e sostenute e che richiedono una capacità respiratoria che i bambini non hanno: il carattere della canzone verrebbe perso totalmente e l’interesse fortemente smussato.

 

Queste osservazioni non significano assolutamente che gli aspetti tecnici debbano prevalere, nella scelta delle nostre proposte, sugli aspetti che riguardano gli interessi e l’adesione dei bambini. Semplicemente aggiungo queste preoccupazioni alle altre. Se non le prendiamo in considerazione rischiamo di compromettere la nostra " opera ", allontanando da certe canzoni e forse anche dal canto chi invece vorremmo avvicinare.

 

Conoscenza dei nostri mezzi

 

Non dovremmo, tra l’altro, interrogarci anche sui nostri mezzi? Non si tratta di vantare eccessivamente le conoscenze e la tecnica come unici criteri per poter aiutare gli altri a cantare, come non si tratta di rifiutarle, per ignoranza o demagogia, come fossero le peggiori nemiche della spontaneità.

 

Scacciamo questi estremi.

 

Abbiamo visto di tutto, ebbene si, grandi tecnici di qualità ritrovarsi rapidamente di fronte a un fallimento totale. Senza dubbio la loro capacità non arrivava anche fino alla competenza pedagogica. E forse anche, al contrario di ciò che noi speriamo, il loro interesse verteva unicamente sul canto e non sui bambini.

 

Abbiamo incontrato di tutto, anche degli amici che facevano cantare dei bambini o dei ragazzi, molto semplicemente, raccogliendo la loro adesione, e malgrado non avessero alcuna conoscenza tecnica. Avevano dalla loro parte la loro gioia e le facilità di relazione ricordate nella prima parte di quest’articolo. Ma difendo comunque l’idea che le conoscenze, lontane dal disturbare la loro azione, li avrebbero anzi dato quei mezzi supplementari per poter condurre ancora meglio. Poiché adesione ed entusiasmo non significano per forza qualità. E il miglioramento della qualità, che fa ben parte delle nostre prospettive pedagogiche, sia nelle scelte che nei risultati, passa attraverso l’adattamento dei mezzi messi in atto per realizzarlo, grazie a un’analisi sensibile e continua di ciò che succede. Ora, possibilità di analisi e mezzi ci sono dati dalla tecnica, messa al servizio esclusivo delle nostre idee fondamentali sull’educazione. Usata in questo modo, la nostra competenza si rivela essere non come l’elemento determinante ma come un ausilio importante per il nostro lavoro. Esserne convinti può portarci a due modi di fare, tra loro correlati.

 

Il primo concerne la chiara coscienza delle nostre conoscenze e dei nostri mezzi tecnici, in tutto ciò che concerne il canto e l’atto di far cantare. Le nostre stesse acquisizioni in quest’ambito sono sempre disperse e la difficoltà consiste in realtà nello stabilire dei legami tra di esse. Valutare le nostre possibilità ci permette di impiegarle in modo più pensato e meglio adattato, assicurando il realismo delle nostre imprese. Nessuna proposta nata da una sicurezza esagerata, sicurezza cieca che ignora i problemi che si porranno. Ma neppure un’apprensione inibitrice, se noi moderiamo le nostre ambizioni a ciò che sappiamo di essere in grado di condurre bene.

 

Il secondo modo di fare ci incoraggia a un perfezionamento personale. La mia soddisfazione (o forse il mio scoraggiamento) non resisterà a lungo di fronte alla percezione delle mie lacune. Senza pretendere di forgiare tutti gli anelli mancanti, sarei di sicuro più pronto ad affrontare le barriere esterne e gli ostacoli personali alla mia formazione.

 

L’implicazione delle nostre scelte

 

Le osservazioni precedenti sembrano essersi allontanate dal nostro tema : il problema del repertorio. Ma non fa comunque niente se, come l’ho proposto all’inizio di questo articolo, invece di isolare questo problema lo riportiamo a tutto il contesto del canto con un gruppo, dove nessun elemento è indifferente: io, i miei gusti, la mia percezione e la mia conoscenza oggettiva della canzone, gli aspetti relazionali, al mia conoscenza degli altri, i miei mezzi.

 

Una volta considerato tutto ciò, resta la mia scelta ; le mie scelte. Il mio problema è quello di scegliere per gli altri al momento in cui mi indirizzo a loro. Cosa implica tale scelta? Implica la mia responsabilità di educatore agente all’interno di un concetto generale di educazione. Ciò è banale. Forse, ma la coerenza, al momento in cui propongo la mia canzone, richiede spesso molta risoluzione. Molto spesso abbiamo l’impressione di andare controcorrente. Controcorrente rispetto alle abitudini o alle mode. Vi sono di sicuro delle ricchezze da cogliere sia nelle une che nelle altre. Ma per quanto ci sembra essere opposto ai nostri obiettivi, portiamo qualcos’altro, un’altra moda, che saremo forse gli unici a portare per controbilanciare per quanto poco quest’aggressione socioculturale ed economica tanto denunciata da tutti gli educatori, ma di cui restiamo così facilmente, anche noi, le vittime. Ricordiamo quest’estratto da un articolo di W. Lemit : " il famoso argomento del " fatto sociale " … che deve evidentemente essere conosciuto e preso in considerazione in quanto realtà, non implica nessuna costrizione per l’educatore, se tale fatto sociale è ritenuto come nefasto nelle sue conseguenze. Ma ammettiamo pure che l’infatuazione della maggioranza costituisce di per sé una giustificazione. Ma allora perché solo per la canzone? Perché non anche per le Riviste del cuore ? Perché non per la cattiva letteratura, il cattivo cinema, il cattivo teatro, … ? " Se uno dei nostri obiettivi è quello di favorire l’espressione dei bambini, è proprio facendoli scoprire e praticare delle forme musicali variate che noi lo raggiungeremo. Ciò che li raggiunge attraverso altre vie e altri ambienti ha bisogno di essere completato, compensato, affinché la loro immaginazione e la loro sensibilità possano veramente crescere e svilupparsi.

 

Se un altro dei nostro obiettivi è quello di favorire la loro autonomia, lo raggiungeremo proprio permettendo loro di scoprire diversi aspetti tra i quali potranno scegliere, per poterli usare secondo i loro gusti, che sia con o senza di noi.

 

Un’altra responsabilità delle nostre scelte è quella di implicarci noi nei confronti degli altri. Attraverso il nostro canto e le nostre proposte ci denudiamo di fronte agli altri molto di più di quanto non facciamo con il nostro comportamento abituale, sempre trasformato (o deformato) dagli obblighi, dal saper-vivere, dall’opinione degli altri, dal pudore, dall’immagine di ciò che vorremmo essere o apparire. Se siamo sinceri con noi stessi con le nostre proposte, gli altri ci percepiranno così : è difficile ingannare. Ed è, credo, il nostro miglior atout.

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